sabato 17 settembre 2011

The great Pretender

Li avreste  potuti considerare degli  eteronimi  se non fosse che in realtà avevano tutti lo stesso nome, il suo, anche se rappresentavano  aspetti del tutto diversi nelle diverse situazioni.
C’era il professionista di moderato successo, volitivo, sicuro di sé, antagonista del potere e perciò autorelegatosi  su piani e in  ruoli più modesti di quelli che sicuramente avrebbe potuto raggiungere se solo fosse stato un po’ più malleabile, ma voi capite, vero? Era una delle parti che gli riuscivano meglio e a dimostrarlo c’era la generale stima e la simpatia dei colleghi e di quasi tutti quelli che per la sua professione avevano a che fare con lui.
C’era poi il raffinato intellettuale dalle molte e  colte letture, dagli svariati interessi artistici, fine esegeta delle varianti, frequentatore di teatri, opere, concerti; ovviamente sempre in contraddizione con l’interlocutore del momento che aveva l’abilità di mettere in minoranza grazie alle indubbie e ben rodate abilità dialettiche. Sapeva di avere una bella voce, non facevano che dirglielo tutti, e lui usava questa dote per sedurre più che convincere, ma sapeva anche diventare tagliente e sprezzante con chi gli resisteva.
E c’era anche il romantico amante, intenso, pieno di attenzioni, quello capace di prevenire i desideri ed esaudirli prima ancora che fossero  anche solo immaginati; instancabile  a letto, disinibito al punto di non ritrarsi di fronte a nulla per raggiungere lo scopo di dare piacere.
E c’era infine la persona responsabile, l’amico fidato, quello su cui si poteva sempre contare nei momenti di bisogno, quello che rassicurava gli altri nelle difficoltà, la roccia solida cui ancorarsi nella tempesta.
Ma c’era una cosa che univa tutti questi aspetti, che dava continuità alla varietà: mentiva, mentiva di continuo, spesso senza ragione, senza scopo, mentiva come respirava, non tanto e non solo per evitare impegni o per ottenere vantaggi quanto piuttosto per una necessità di abbellimento, potremmo dire, perché in realtà a lui non importava veramente niente di nessuno, nemmeno di sé. Aveva col tempo sviluppato l’abilità di non discostarsi mai troppo dalla verità, anzi, per  successivi scarti infinitesimali, la realtà arrivava a coincidere, per verosimiglianza, con la rappresentazione della stessa a rafforzarne l’inventiva, ma capitava sempre più spesso, quando raccontava qualche episodio della sua vita, che lui stesso non sapesse più distinguere tra realtà ed invenzione, che divenisse egli stesso vittima della biografia parallela che si era costrutito in anni di menzogne,  come avesse trasformato se stesso in una invenzione letteraria di successo.
Troppo pigro per scrivere, aveva riscritto la sua vita; non sapeva chi fosse la sera, quando si addormentava, non sapeva chi sarebbe stato il mattino dopo, al risveglio.

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