martedì 16 agosto 2011

Di treni persi e di amori mai nati

Ero rimasto solo in città. Come ogni anno, d'estate, C. trascorreva qualche settimana dai suoi, che vivevano lontani in una città del sud. All'uscita dal lavoro,  nel tardo pomeriggio, mi ero ritrovato dalle parti della stazione ferroviaria e con la scusa di comprare le sigarette ero entrato nell'atrio, già sapendo in realtà che sarei finito ai cessi, come tante altre volte era successo.
Per darmi un tono mi ero messo a guardare  il tabellone degli orari, poi uno sguardo all'orologio, come a valutare  il tempo mancante a una ipotetica partenza, intanto l'altoparlante annuncia un ritardo consistente per un locale che conduce a una vicina cittadina termale e un ragazzo accanto a me esplode in una imprecazione.
Lo guardo, gli sorrido, siamo sul marciapiede da cui dovrebbe  partire il treno in ritardo e tra una cosa e l'altra cominciamo a parlare; mi chiede se ci sono alternative al treno per raggiungere la sua meta, tira fuori una sigaretta, gliela accendo, mi sfiora come casualmente le mani mettendole a coppa attorno all'accendino, lo guardo negli occhi e mi sorride con un misto di timidezza e sfrontatezza indugiando ancora a sfiorarmi le mani nonostante la sigaretta sia già accesa e l'accendino spento (più tardi mi dirà che mi aveva notato mentre guardavo gli orari dei treni e che quando avevano annunciato il ritardo era stato contento in realtà e che aveva lanciato l'imprecazione per attirare la mia attenzione).
Mi racconta cosa sta facendo li: è arrivato da Torino, dove vive coi suoi genitori originari della Sicilia, per incontrarsi con la sorella, che vive a Roma, con cui passerà una settimana nella cittadina termale; ha 32 anni (come me) lavora nel negozio di ferramenta del padre, si sente frustrato per non potersi permettere di vivere da solo e  il fatto di passare quella settimana con la sorella è soprattutto  l'occasione per tirare un po' il fiato e sottrarsi almeno per qualche giorno a una convivenza che gli pesa sempre di più.
Gli offro di accompagnarlo io in macchina, e siccome non ci vogliono più di una ventina di minuti per raggiungere la sua meta, abbiamo anche il tempo per bere qualcosa assieme se gli va; dapprima mostra di esitare, gli pare di arrecarmi troppo disturbo ma si vede che è tentato di accettare, al che insisto dicendogli che  trovo la sua compagnia molto piacevole e che quindi è tutt'altro che un disturbo.
Saliamo in auto: ti va di venire da me per una birra? Risponde di sì. Non l'ho mai fatto prima, non ho mai portato nessuno a casa ma c'è qualcosa in questo ragazzo che non eccita solo un puro desiderio fisico  e sento che sarebbe fuori luogo appostarsi da qualche parte in macchina, come sono solito fare. Gli spiego che sono sposato (lo immaginavo, dice) e che sono momentaneamente solo perchè mia moglie è dai suoi: "se ti da fastidio posso capirlo" dice di no, ma mi pare di cogliere una punta di delusione, quasi di malinconia nella sua voce e nei suoi occhi.
Appena entriamo lo prendo tra le braccia e comincio a baciarlo e lui risponde manifestando un desiderio e una ingordigia che mi sorprendono; finiamo a letto e succede che per la prima volta in vita mia lascio che nel sesso con un altro uomo ci sia anche della dolcezza, della tenerezza, della carezze, degli sguardi, dei sorrisi; prima di allora mi sono sempre difeso dalla mia omosessualità relegandola a  puro sfogo fisico, anonimo, muto, degradando i miei partners occasionali a solo strumento passivo del mio piacere, non permettendo mai a me stesso di vedere in loro delle persone ma solo pezzi di corpi  e poter  così scordare tutto un attimo dopo.
Ma qualcosa negli occhi  e nel modo di fare di questo ragazzo ha abbattuto d'un colpo e inaspettatamente tutte le mie ridicole difese; siamo entrambi silenziosi e imbarazzati intanto che ci rivestiamo, gli offro qualcosa da bere e mentre prendo dal frigorifero una birra vede sul tavolo della cucina un numero di Linus (ricordo perfettamente la copertina gialla) e si mette a sfogliarlo;  gli dico che può prenderlo tanto l'ho già letto, accetta subito e mi ringrazia: lo ha perso in edicola e siccome li colleziona mi è davvero grato.
In macchina, mentre lo accompagno alla sua destinazione, accarezza ogni tanto la mano che tengo sul cambio, ma non dice una parola e nemmeno io parlo; alla fine, al momento di scendere, gli dico che averlo incontrato ha reso questa giornata davvero speciale al che replica con una  ironia un po' amara che certo, d'ora in poi tutti gli anni certamente festeggerò quella data in ricordo di questo incontro; arriviamo che è buio, scende e resta un attimo in piedi vicino alla portiera aperta, come se aspettasse qualcosa da parte mia, poi come  arrendendosi  chiude la portiera e si incammina.
E io resto li, incapace di fare uscire le parole che mi si  affacciano tutte assieme alla mente, umiliato dalla mia vigliaccheria e spaventato dalla consapevolezza che si è aperta un breccia nella diga delle mie difese e che con questo presto, molto presto, dovrò fare i conti.
Al ritorno, sull'autostrada, mi fermo a piangere in una piazzola di sosta: piango per me, per lui, per il dolore che inevitabilemnte causerò e che so però di non potere evitare.

2 commenti:

  1. Ma tu, Sciltian, bocchinaro carfagnoso carrierista de borgata, a quel frocio del Fatto Quotidiano che su tua richiesta mi banna dai blog perche' ti faccio sempre fare delle grandiose figure di merda, come glieli fai i pompini?

    Con l'ingoio o solo con lo sbaciucchiamento laterale con scappellamento a sinistra?

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  2. temo che lei abbia proprio sbagliato indirizzo, sa?
    E poi, Sciltian a chi???

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